Le parole non si limitano a “descrivere” il mondo: lo costruiscono, suggerendo di volta in volta quali ruoli siano considerati accettabili e quali comportamenti vadano stigmatizzati
Non è mia intenzione voler essere scurrile, né tantomeno avere una caduta di stile, ma vorrei riportarvi con esattezza le due parole che sono state scritte (enormi) sul muro all’uscita della città dove ho trascorso la prima parte della mia vita in Sardegna: “Troia Infame”. Due parole che accostate, se ci pensate bene, assumono un significato micidiale. Non ho idea in quale situazione si sia trovato a vivere l’autore per concepire un insulto così violento e per volerlo consegnare al pubblico stradale, però una cosa è certa: quella scritta mi ha fatto molto riflettere sul fatto che non ho trovato un corrispettivo maschile di pari intensità. Sciupafemmine ignobile, Latin Lover spregevole o, dal francese, Gigolò meschino o Coureur de jupons disonorevole (letteralmente “corridore di sottane”), che significa appunto “donnaiolo, seduttore, uomo che insegue le donne”, non sono forse ridicoli? Nessuno di questi nasce con veri accenti spregiativi e, anzi, potrebbe essere rivolto in modo lodevole o come vezzeggiativo.
Le parole che troviamo scritte sui muri sono specchi della società, della cultura e della morale di un’epoca. Attraverso il linguaggio, infatti, si trasmettono consuetudini, si consolidano regole, si impongono aspettative. L’utilizzo di un termine, o la sua negazione, può rivelare il modo di percepire identità, relazioni e ruoli in un popolo. Dovremmo fare più attenzione alla funzione di molte parole che utilizziamo abitualmente, ignorandone il significato, e che, invece, sono riflessi di un ambiente maschilista, misogino e autoritario. “Matrimonio”, ad esempio. Mentre “sposi” deriva dal latino spondēre, ossia promettere solennemente, “matrimonio” ha una radice diversa e affonda nel concetto di mater, madre (in forma di genitivo matris), cui si unisce munium da munus, dovere, compito. L’etimologia suggerisce una precisa visione sociale: alla donna era affidato il dovere di procreare e accudire, all’uomo il patrimonio – suo corrispettivo – per sovvenire ai bisogni materiali della famiglia. La donna, una volta sposa, viene rinchiusa nel ruolo di madre e nell’accudimento dei figli. Questa distinzione di ruoli, con i suoi confini netti, ci restituisce un affresco del Medioevo, epoca in cui l’istituzione del matrimonio come lo conosciamo oggi ha preso forma. Ma ci ricorda anche quanto i termini, che a uno sguardo superficiale sembrano innocui, siano in realtà veicoli di ruoli e aspettative molto marcate e totalmente anacronistiche.
Le parole, dunque, non si limitano a “descrivere” il mondo: lo costruiscono, suggerendo di volta in volta quali ruoli siano considerati accettabili e quali comportamenti vadano stigmatizzati. Dietro un termine dall’aspetto neutro, scopriamo un intero sistema di doveri e aspettative che abbraccia la maternità e l’amministrazione della ricchezza, mentre dietro a parole come “puttana” o “escort” riconosciamo un quadro di moralità orientato a colpevolizzare in modo asimmetrico la donna rispetto all’uomo.
Le scritte sui muri conservano un’immediatezza naturale potentissima. In fin dei conti i muri sono i vecchi schermi su cui scrivere il proprio tweet. Una forma comunicativa che sta sopravvivendo all’egemonia della dittatura big tech. Strategicamente posizionate nelle vie che percorriamo per andare a casa o al lavoro, vicino alle scuole, agli stadi, ai monumenti, ai cavalcavia delle autostrade, diventano quasi dei segnali che fanno parte del nostro sistema di orientamento. Questa loro presenza nei luoghi familiari favorisce una risonanza psicologica e sociale molto più profonda di quanto crediamo. La scritta sul muro entra nella mente anche quando non viene vista consciamente e, soprattutto, garantisce l’anonimato assoluto.
La comunicazione forte, diretta, a volte aggressiva, è un tratto costante sui muri che, come “sismografi”, captano e trasmettono ancora i movimenti extra digitali. I muri sono fogli di una narrazione collettiva o individuale in continua riscrittura. Sullo stesso muro possono coesistere nobili rivendicazioni di libertà e giustizia, moti di rabbia, illusioni rivoluzionarie, prese di coscienza più amare, sfoghi personali, slogan sessisti, proteste femministe, dichiarazioni d’amore, appelli per la pace accanto a scritte d’odio, messaggi ambientalisti, appelli alla giustizia sociale, invocazioni religiose, bestemmie profane. Sullo stesso muro dell’insulto femminile, infatti, compariva anche: “Dal Cile, al Congo, alla Sardegna, il capitalismo verde avvelena la terra e uccide le comunità”. Quella delle scritte sui muri è sicuramente una forma di democrazia, dove tutti possono dire la loro, dove si riflette la complessità della coscienza collettiva che deve coesistere sul muro della vita, dove spinte opposte si incontrano, si scontrano e tentano di definirsi.
Il linguaggio è un sistema vivo, che muta e si trasforma nel tempo insieme alla coscienza collettiva e individuale. Per questo molte parole nei regimi totalitari vengono vietate, soppresse, e altre invece sostenute e rafforzate, capovolgendo il loro senso. È importante, però, notare che le democrazie illiberali o quelle che si avviano a diventare “democrature” spacciano per limitazione alla libertà di espressione qualsiasi regola che non consenta un uso incontrollato dell’insulto sul web, perché l’insulto, la derisione e le brutalità verbali sono diventati il lessico corrente del confronto personale, sociale e politico. La liberazione dai regimi o la capacità di prevenirli inizia, prima di tutto, nelle coscienze individuali e continua, poi, nella consapevolezza del potere delle parole. Liberiamo le nostre bocche dalle parole che non rispecchiano la società in cui vorremmo vivere. Non cediamo alla tentazione di rispondere all’insulto con l’insulto, a entrare nell’arena della finzione. Invece, costruiamo insieme nuove narrazioni, basate su concetti di cura, autenticità, gratitudine, rispetto, empatia, delicatezza e gentilezza. Abbandoniamo i termini divisivi e polarizzanti, che alimentano esclusione e pregiudizi.
Le parole costruiscono il tessuto della realtà. Creandole consapevolmente, scegliendo con cura il vocabolario mentale, pescandole nel cuore e nell’intelletto ispirato, favoriamo un cambiamento positivo molto più radicale di quanto possiamo immaginare. Tutto questo impoverimento verbale, spirituale, comportamentale, non dimentichiamolo, ha origine nell’intimità del nostro sentire. Su quel muro tu cosa scriveresti?
10 luglio 2025
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